martedì 29 maggio 2012

Lupin

La vita in ospedale, come vi ho già accennato, è una vita di compromessi. Tra medico e paziente, tra medico e infermiere, tra pazienti e infermieri, e via discorrendo. Tu vuoi che ti tolga il catetere, io ti dico di no ma in cambio ti concedo di cominciare a sgambettare in giro con la supervisione del fisioterapista. Tu hai un diabete allucinante e vorresti vivere solo di biscotti, io te ne concedo qualcheduno se ti fai cambiare la medicazione senza far storie. Compromessi, appunto.
Nella maggior parte dei casi, questo metodo funziona abbastanza bene. Ovvio, il paziente tende a chiedere sempre di più e il medico talvolta pecca di eccessiva prudenza, ma alla fine si riesce spesso a trovare una qualche sorta di equilibrio dinamico, che soddisfa in maniera sufficiente tutti quanti.
Quando il compromesso fallisce, però, è un dramma.


Prendete Lupin. Lupin è stato ricoverato per fratture multiple, ed ha passato un periodo di tempo considerevole bloccato a letto come uno stoccafisso. Naturale che, nel momento in cui ha cominciato a sentirsi meglio, la sua prima richiesta sia stata quella di potersi alzare. (Richiesta, a latere, che ha fatto seguito a diversi tentativi di evadere dalle sbarre del letto alle tre del mattino, causando scompensi notevoli alle povere infermiere del turno di notte.)
Nel suo stato di salute, però, andare a fare la maratona di New York era abbastanza sconsigliabile, per cui, dopo lunghi tira e molla, siamo arrivati (giustappunto) ad un compromesso: il dottore gli ha permesso di farsi mettere sulla sedia a rotelle, in modo che potesse girellare per il reparto senza correre il rischio di cadere e fracassarsi come una statuetta di porcellana.


Per un po' è andata bene così. Poi, quando la novità della carrozzella gli è venuta a noia, Lupin ha deciso di movimentare un po' la situazione. La richiesta più pressante, negli ultimi tempi, riguardava la possibilità di poter fumare; attività che, in un reparto di ospedale, viene sempre guardata con una certa repulsione.
Il primo ostacolo è stato quello di procurarsi le sigarette. Con grande abilità, bisogna dirlo, Lupin ha fatto tanto da riuscire ad impietosire uno dei parenti del suo vicino di stanza, che di nascosto dai medici e dalle infermiere ha contrabbandato un pacchetto di Marlboro tra le maglie dei severissimi controlli della caposala. E passi.
Quindi, è venuto il momento di farsi dare il permesso di uscire. Forte del successo precedente, Lupin ha cominciato a mendicare aiuto dai pochi pazienti deambulanti per farsi aprire le porte del reparto, cosa che gli riusciva abbastanza difficile dalla sua sedia a rotelle (si tratta di porte tagliafuoco, giusto per contestualizzare). Stavolta gli è andata male, perché i medici l'hanno beccato sul nascere ed hanno proibito tassativamente a chiunque di aiutarlo nella sua impresa, ma lui non si è dato per vinto. Dai e dai e dai, tra suppliche, preghiere e giuramenti di comportarsi bene, è riuscito a strappare il permesso ad uno dei nostri dottori, guadagnando così l'agognato ascensore che lo portava al piano terra del padiglione.


Pareva finita lì. Se non che, come spesso accade quando ci si calano troppo le braghe, è successo il patatrac. Ammetto di non poter raccontare l'episodio in prima persona perché è accaduto in un giorno festivo, ma ho sentito dei resoconti abbastanza esaurienti da potervi rendere l'idea.


Insomma, un giorno Lupin esce per fumare la sua ennesima sigaretta. Un'infermiera gli apre le porte del reparto e lo guarda scendere con l'ascensore, dopo le solite raccomandazioni. Lui annuisce e promette. Tutto a posto.
Prosegue la routine quotidiana. Le infermiere trottano da un capo all'altro del reparto per accudire i malati. Qualcuno si accorge che Lupin non è nella sua stanza, ma ultimamente non è una novità: quell'uomo è un tabagista talmente accanito che spesso la sua "pausa sigaretta" si moltiplica peggio dei pani e pesci nella parabola del Vangelo.
Passa circa un'ora prima che a qualcuno venga il dubbio. Partono le domande, qualcuno scende al piano terra a controllare, ci vuole poco per assimilare la cruda verità: Lupin è evaso. Chiamate Zazà!


Fortunatamente, se l'inventiva non gli fa difetto, altrettanto non si può dire della pianificazione. L'evasione è stata infatti progettata senza tener conto di un dettaglio fondamentale: che un uomo in pigiama, seduto su una carrozzina, con un braccialetto identificativo al polso, ha poche possibilità di passare inosservato nei pressi di un ospedale.
Per farla breve, Lupin è stato riacciuffato a circa duecento metri dal punto di partenza, mentre spingeva di buona lena la sua sedia a rotelle per uscire dal perimetro dell'ospedale. La nostra versione di Zenigata (un'anima buona che si stava spostando da un padiglione all'altro e che ha avuto la prontezza di riflessi di placcarlo quando ha intuito l'accaduto) lo ha impacchettato e rispedito mogio mogio al mittente, dove è stato amorevolmente accolto dalle nostre infermiere. O almeno, da quelle che si erano già riprese dall'infarto.


Vi lascio immaginare la reazione del medico che gli aveva dato il permesso di usare la carrozzella, quando le infermiere lo hanno aggiornato sul tentativo di evasione. La punizione è stata il carcere duro, ossia il divieto di muoversi dal letto fino alla fine del suo soggiorno. Non posso negare di essermi trovata d'accordo, sia chiaro.
Se non che, poco dopo il cazziatone, mi è capitato di passare davanti alla sua stanza per caso e di sorprenderlo con una gamba già fuori dalle sbarre. Io l'ho guardato, lui mi ha guardato, poi ha sospirato ed è tornato a stendersi. Per ora, dicevano i suoi occhi.


Oh, sarà una lunga degenza.

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