giovedì 21 giugno 2012

Il Professore

Non mi piace parlare molto di me, fondamentalmente perché sono convinta che a nessuno interessi una mazza, ma se proprio dovessi trovare un modo per definirmi direi di essere una persona dai gusti semplici. Noiosa e monotona, direbbero alcuni, ma sta di fatto che mi basta poco per essere felice. Stare sdraiata in macchina durante una giornata piovosa, con la testa sulle ginocchia della persona che amo, a guardare le nuvole cambiare forma oltre il parabrezza, assomiglia molto alla mia idea di paradiso.
Naturalmente, non tutti la pensano alla mia stessa maniera. C'è molta gente che è piú esigente di me, sia dalla vita in generale che da coloro che la circondano, e non mi sento di biasimarla. E poi, ogni tanto, c'è chi trasforma l'esigenza in supponenza, e questa in diffidenza, e qui cominciano i problemi.


Il Professore, ovviamente, è uno di questi. A pensarci bene, se ho capito come ragiona, la sua dev'essere una vita abbastanza triste: è una persona con un passato da contadino, e con la cultura media delle persone del suo tempo, che vive nella convinzione di essere circondato da idioti. Il che, per inciso, può anche essere vero; ma non toglie che, dopo sei anni di studio matto e disperatissimo, sentirsi dare delle lezioni dal primo che passa può essere abbastanza irritante.


Per esempio, qualche giorno fa ha lamentato problemi ad andare di corpo. Indagando un attimo, sono riuscita a capire che il sistema di smistamento non era proprio del tutto inceppato, semplicemente andava un po' a rilento. Ciò nonostante, la cosa sembrava irritarlo a morte, ed insisteva per farsi fare un clistere.
"Mi dovete fare un clistere! Un cli-ste-re! Sapete, quando prendete quel tubo e lo infilate nel didietro, e poi aprite l'acqua..."
Ora, non ho mai preteso di essere un genio della medicina, anzi, le mie conoscenze sono sicuramente scarse rispetto a tutti i miei colleghi di reparto (che sono anche tutti più grandi di me, per essere onesti). Mi rendo anche conto che, quando compaio davanti ai pazienti alla mattina presto, è facile scambiare le mie occhiaie monumentali e lo sguardo rintronato da deprivazione di sonno con l'occhietto vitreo dello strafatto di crack, e non è un passaporto verso la fiducia degli altri.
Ciò nonostante, a parer mio, il semplice fatto di indossare un camice dovrebbe mandare un messaggio al paziente: e cioè che non sarò un genio, ma non c'è bisogno che mi insegni cos'è un clistere. Almeno quello lo so, grazie.


Quello che lo salva, l'unico aspetto positivo che impedisce di strozzarlo, è il fatto che è una persona abbastanza educata. Perciò, nella maggior parte dei casi, riesce a trasformare la sua supponenza in condiscendenza; che è ugualmente irritante, ma è nascosta dietro quel velo (molto sottile, per la verità) di cortesia che non ti permette di mandarlo a quel paese.
Ne ho avuto un assaggio quando sono andata nella sua stanza, un pomeriggio, per sottoporlo a una serie di test. Sono domande, perlopiù a quiz, che somministriamo a tutti i pazienti di una certa età per valutare quanto siano in pericolo di vita e quanto siano in grado di provvedere a tutte le loro faccende quotidiane. Solo che questo non sono riuscita a spiegarglielo.
Con me è stato molto gentile, al contrario che con gli altri dottori, forse perché essendo giovane gli faccio simpatia. Ha risposto a tutte le mie domande, ha eseguito tutti gli esercizi che gli ho chiesto di eseguire e non si è mai lamentato. Ha persino inframmezzato le pause tra un test e l'altro con una serie di aneddoti interessanti, tipo "come si prepara il sapone fatto in casa".
Ma per tutto il tempo, ogni volta che mi interrompevo un attimo per segnare un punteggio o ragionare su una risposta, mi faceva un sorrisetto dei suoi e buttava lì un "Spero che questo le serva per i suoi studi!". E io a rispiegargli, pazientemente, che quei test servivano più a lui che a me, e lui a scuotere la testa sorridendo, come se condividessimo un adorabile segreto. Odio.


La prova definitiva del suo gentile carattere, fortunatamente, non l'ho avuta io. Un giorno è arrivato in reparto uno psichiatra, per una consulenza su un'altra paziente (vi ricordate la Squaw?), e già che c'era gli abbiamo chiesto di dare un'occhiata anche al Professore. Sfortunatamente, era l'ora di pranzo, e lui era seduto sul letto con tutti i suoi vassoietti ordinatamente disposti davanti a sé.
La specializzanda (io ero solo appesa allo stipite della porta, a sbirciare) non ha fatto neanche in tempo a presentargli lo psichiatra, che lui ha reagito subito con sprezzo: "Andatevene."
Lo psichiatra ha tentato di augurargli il buongiorno, ma non ha fatto altro che peggiorare la situazione. "Andatevene, ho detto. Io ora sto mangiando e voi ve ne dovete andare. Tornate più tardi."
Mogi mogi, i due dottori hanno fatto per uscire, ma il Professore non ha resistito a dare la stoccatina finale.
"Tanto," ha sbottato "per il mestiere che fate, potete anche tornare in un altro momento."


Che personcina adorabile.

martedì 5 giugno 2012

La Squaw

Prima di iniziare questo nuovo fantamirabolante post, vorrei festeggiare con voi il primo mese del blog, che in realtà è caduto due settimane fa ma non me ne sono accorta fino ad oggi. Del resto, mio il blog, mie le festività. Evviva!

In queste sei settimane scarse, vi ho descritto, con ironia talvolta impietosa, una notevole accozzaglia di soggetti più o meno bizzarri con cui mi sono trovata a che fare. Scherzi a parte, però, non mi era mai successo di dovermi confrontare con un vero malato di mente: dementi, iracondi, con qualche venerdì in meno, di quelli ne ho incontrati a iosa, ma un "pazzo" nel senso psichiatrico del termine non mi era mai capitato.
Però, visto che Dio vede e provvede, ultimamente ho avuto modo di aggiungere anche questa esperienza al mio bagaglio.


Non so se ci avete fatto caso, ma nelle pagine precedenti ho sempre evitato di addentrarmi troppo in profondità nel descrivere le condizioni cliniche dei miei pazienti. Questo per diverse ragioni: legali, di etica professionale, e soprattutto di rispetto. Ma anche se per una volta decidessi di abiurare a questo mio principio, sinceramente non saprei dirvi con precisione di che disturbo soffra la Squaw: le mie conoscenze di psichiatria sono quel che sono, mi spiace, quindi abbiate pazienza ed accontentatevi della descrizione.


Il mio primo contatto con la Squaw è avvenuto una mattina presto, mentre stavo controllando i resoconti delle infermiere del turno di notte. Capita spesso che i pazienti mediamente autosufficienti, che come tutti gli anziani si svegliano di buon'ora, si accampino provvisoriamente davanti alla televisione del salottino del reparto, quindi col tempo ho imparato a ignorare i rumori di fondo del primo mattino e a concentrarmi sul mio lavoro.
Quella mattina ricordo di aver registrato vagamente i rumori che mi giungevano dal corridoio, e di aver concluso che probabilmente in tv doveva esserci un cartone animato di Scooby-Doo. O quello, o un'opera lirica eseguita dal peggior cane della storia. Ma, come vi ho detto, non ci ho fatto particolarmente caso, sino a quando ho visto la signora delle pulizie entrare sghignazzando nella sala infermieri e lasciarsi cadere su una seggiola, stanca morta per le risate. Solo allora, con la prontezza per cui sono famosa, ho realizzato che forse qualcosa non andava.




Dal corridoio proveniva un "OoooooooooOOOOOOoooo-oooo", uguale spiccicato al verso che fanno i fantasmi nei vecchi cartoni animati (quell'ululato un po' stridulo, avete presente?). Mancava solo il clangore delle catene e mi sarei spaventata di brutto. La situazione non è migliorata quando, con un po' di timore, mi sono avventurata fino alla fonte del suono ed ho visto una signora, nel suo lettino, che agitava le braccia a tempo con gli ululati, come un direttore d'orchestra.


Siccome non sembrava che fosse in pericolo immediato, passato il primo stupore ho deciso di ignorarla e mi sono rimessa al lavoro. Sarà passata un'ora, più o meno, stavo facendo il giro visite con la specializzanda, quando un altro rumore mi ha distratta.
Questa volta era un goglottio (sono andata a cercare la parola giusta a beneficio vostro, ché non si dica che questo blog non fa educazione), ossia - per farla breve - il verso del tacchino. Ora, lo so che la mia esperienza precedente avrebbe dovuto facilitarmi nel fare due più due, ma provate a mettervi nei miei panni e ditemi se, nel bel mezzo di una corsia d'ospedale, non rimarreste abbastanza spaesati nel sentire un "Gluglugluglugluglu" che riecheggia alle nove del mattino. In breve, ci ho messo un po' a collegare questo suono all'episodio di prima, ma alla fine ho concluso che la Squaw doveva essere scesa sul piede di guerra e che, finché non dissotterrava il Tomahawk, non erano fatti miei.


Il che dimostra, una volta di più, che l'apparenza inganna. Perché quando, alla fine del giro, sono tornata indietro e sono finalmente passata davanti alla stanza della Squaw, ho appreso con orrore che quei versi che emetteva non erano un virtuosismo dettato da una fantasia momentanea.
Era la sua voce. La sua voce normale, intendo.


A questo punto, vi aspetterete che descriva il meraviglioso gesto di pietà che ho avuto nei confronti di questa povera anima tormentata. Sì, se la comprensione mi fosse giunta qualche ora prima avrei anche potuto andare a consolare la povera Squaw.
Se non che, vedete, nel nostro reparto il giro visite comincia più o meno alle nove e termina poco dopo mezzogiorno. Quel giorno in particolare avevamo avuto un'altra signora che si era sentita male ed aveva monopolizzato le nostre attenzioni per un po', quindi il giro era finito verso l'una.
Ed era dalle nove che la Squaw goglottava ininterrottamente.


Tacciatemi di negligenza e cinismo becero, ma considero già un grande gesto di pietà l'essermi trattenuta dallo strozzarla con le mie mani.

venerdì 1 giugno 2012

'O terremoto

Mentre tutta Italia piange i morti dei recenti terremoti, che non avevano altra colpa che quella di essere molto sfortunati, voglio cercare di sdrammatizzare raccontandovi in poche righe le reazioni dei miei vecchietti alle recenti bizze del nostro pianeta. Sia chiaro che non intendo assolutamente paragonare le mie (dis)avventure quotidiane alla gravità di un evento così luttuoso e devastante: tutto quello che scriverò d'ora in poi, come sempre, va inteso solo e soltanto con ironia.


Premetto immediatamente, per tranquillizzarvi, che la zona dove vivo e lavoro non è, fortunatamente, una di quelle flagellate dal terremoto. Ciò nonostante, visto che non ci facciamo mancare niente, negli ultimi mesi anche dalle mie parti abbiamo ballato con una certa vivacità, anche se penso che i danni più gravi non abbiano oltrepassato la morte violenta della zuppiera di cristallo della nonna.
Nondimeno, 'o terremoto è sempre 'o terremoto.


Visto che le disgrazie non vengono mai da sole, il caso ha voluto che questi ultimi terremoti capitassero in un periodo abbastanza delicato nella vita del reparto in cui lavoro. Ora, non so bene come esprimere questo concetto con il tatto necessario, perciò vi fornirò una metafora poco elegante ma molto esplicativa: nell'ultimo paio di settimane, con la dimissione dei pazienti guariti ed il ricovero dei nuovi malati, il reparto aveva finito per assomigliare molto poco a un ospedale e molto di più alla gabbia delle scimmie dello zoo.
Non avete capito? Ok, ve la metto in un altro modo: ci sono mesi in cui il reparto fila come un orologio, tutti vanno d'accordo e i pazienti sono docili come agnellini. Ce ne sono altri, invece, in cui sembra che tutti i pazzi scatenati della provincia si siano dati appuntamento per farsi ricoverare da noi. Ecco, questo periodo è uno di questi ultimi.


Comunque, dicevamo, 'o terremoto. Il mio primo pensiero, quando ho visto il carrello delle cartelle cliniche che camminava per i fatti suoi, non ha riguardato, lo ammetto con un po' di vergogna, i miei poveri vecchietti. Ho invece fissato con un certo orrore fuori dalla finestra della sala medici, in giardino, dove il bombolone dell'azoto liquido da 4000 litri oscillava beato tra i raggi del sole. Ho pensato a quanto sarebbe stato ignobile farmi ritrovare dai soccorsi come una specie di gigantesca stalagmite, e dire che quella mattina non mi ero neanche pettinata bene. Poi la terra ha rallentato, il bombolone si è fermato e il mio cuore è ripartito.


Subito dopo, ovviamente, i pazienti. Per qualche secondo abbiamo sperato che non se ne fossero accorti... speranza vana, direte voi, ma solo perché non li conoscete: in quel momento, non sembrava un'idea così campata in aria.
Molto gentilmente, a scoppiare la nostra pavida illusione ci ha pensato subito la Squaw (di cui ho parlato qui), che ha cacciato un urlo come se la stessero scotennando. Il che, a ben pensarci, è in linea col suo soprannome.


Come se stessero aspettando il colpo dello starter, tutti gli altri vecchietti sono impazziti. Una, da che era seduta sulla carrozzella, s'è fatta prendere dalla foga di tornare a letto (non chiedetemi per quale motivo), dimenticandosi però di avere il sacchetto del catetere assicurato alla ruota. L'abbiamo ritrovata ululante qualche secondo dopo, come la più bizzarra impiccata al contrario della storia. No, non è stato un bello spettacolo.
Un'altra ha cominciato a snocciolare un rosario così forte che ho avuto paura che le perline prendessero fuoco per l'attrito.
Nel reparto c'era un delizioso odore di campo coltivato (a buon intenditor...). Una delle signore che stavano guardando la televisione nel soggiorno, che già mi aveva dato l'idea di esserci poco con la testa, ha cominciato a dondolare sulla sedia a rotelle peggio di Rain Man quando non vuole salire sull'aereo con Tom Cruise. Mi sono dovuta lanciare a pelle d'orso per bloccarle entrambe le ruote, prima che facesse un giro della morte nel senso letterale della parola.
Nel frattempo, Lupin (ve lo ricordate?) gironzolava bello allegro per il reparto, andando a mettere scompiglio nelle stanze delle poche signore che non avevano ancora ben capito l'accaduto. Se non me lo dimettono entro breve, giuro che quel tizio prima o poi fa una brutta fine.


Insomma, piano piano, la crisi è passata. Abbiamo rimesso a posto i pazienti evasi dai letti, abbiamo calmato gli ansiosi, dato da bere agli assetati e via discorrendo. Poi, prima di ricominciare il giro, mi è preso lo scrupolo di fare una piccola ricognizione per vedere che non ci fosse sfuggito qualcosa... che so, qualcuno che si era buttato dalla finestra, o che aveva approfittato della confusione per impiccarsi alle sbarre del letto. Per dire.
Ad un certo punto, sono capitata davanti alla stanza del Professore (che potete trovare qua). Stava lì seduto sul letto, dritto come un fuso, a fare le parole crociate. In un impeto di buon cuore, mi sono affacciata dallo stipite della porta per sincerarmi che non fosse spaventato.


"Professore!" l'ho apostrofato. "Ha sentito che c'è stato il terremoto?"
Quello ha alzato lentamente la testa e mi ha guardato.
"Chemmefrega a me del terremoto. Tanto io devo morire."
Tiè. La prossima volta imparo a farmi i fatti miei.