martedì 8 maggio 2012

Lady Gaga

Oggi cambiamo argomento. Così per non annoiarci, dopo tutti i pazienti che ho bistrattato in queste pagine, vi parlerò anche di un parente.


I parenti, ahimé, non si scelgono. In tutte le famiglie c'è almeno un elemento (se siete fortunati) che spazia dal bizzarro all'odioso al fuori di testa. È la ragione per cui le riunioni di famiglia sono poco tollerate, in genere... almeno, per me è così. Il fatto è che mi vien da pormi una semplice domanda: caro zio/cugino/nipote acquisito alla lontana, ci sarà o no una ragione se ci vediamo una volta ogni morte di Papa? Sì, c'è, e ti assicuro che non è il caso. Fatti due domande.


Comunque, sto divagando.


La questione diventa esponenzialmente più drammatica quanto più il suddetto pazzo furioso è di un grado di parentela vicino a te. Immaginatevi il dramma quando, come in questo caso, si tratta di una figlia.
Lady Gaga è... beh, è Lady Gaga, nomen omen, solo una sessantina di chili più grassa dell'originale. Già a guardarla si intuisce che è un pericolo pubblico, una specie di untore dell'epilessia. La prima volta che l'ho vista, nella sua tutina di un fuxia sgargiante con gli strass, sulle prime ho pensato che mi fosse venuto un tumore al cervello; poi, realizzato che quello che stavo guardando era vero, ho sperato che mi fosse venuto un tumore al cervello, in modo da potermene andare velocemente e senza soffrire.


Lady Gaga sa creare il vuoto attorno a sé con la stessa velocità con cui Marzullo è in grado di farti addormentare. Le infermiere la temono, i dottori la schivano, sua madre... beh, sua madre la subisce, povera stella, e ammetto di provare una certa pietà per lei.


E poi, siccome le disgrazie arrivano sempre a tre per volta, c'è la sua voce. Quando Lady Gaga parla, i cani maledicono l'evoluzione che li ha resi capaci di udire gli ultrasuoni, e stormi di pipistrelli volano via terrorizzati. (Tra parentesi, nell'ospedale in cui lavoro ci sono davvero i pipistrelli. Non so se scappino realmente, quella parte me la sono inventata, però ci sono.)
Ha quel dolce tono di voce in grado di bucare il cristallo, unito al volume del barrito di un elefante che improvvisamente si trova davanti un topo. Il che darebbe fastidio ovunque, ma in un ospedale, dove, per definizione, la gente sta male ed ha bisogno di riposo, la questione assume le proporzioni di una tragedia.


Il problema, lo capirete anche da soli, è che non è facile farglielo notare. Un po' per educazione, a nessuno piace sentirsi dire che la propria voce è piacevole come un trapano puntato al lobo temporale, e un po' - almeno da parte mia, non garantisco sui miei colleghi - anche per terrore.
Per ora, quindi tiriamo avanti a soffrire. Verremo ricompensati in Paradiso, lo so, ma che fatica.

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