venerdì 14 dicembre 2012

Apocalypse (s)now

Stanotte ha nevicato.
Beh, grazie tante, mi direte voi, è dicembre. Anche se, in realtà, la zona dove vivo io è nota per avere un clima particolarmente mite, e infatti attira turisti da tutte le regioni limitrofe durante buona parte dell'anno. I ragazzini cresciuti qui, per dire, non hanno mai avuto la possibilità di fare a palle di neve con i loro amichetti, a meno che i genitori non li portassero a sciare. Ma sto divagando.

Dicevo, stanotte ha nevicato. Siccome ho la fortuna di vivere a due passi dall'ospedale, stamattina mi sono fatta cogliere da uno scrupolo di coscienza pensando ai miei colleghi che vivono lontani, e ho pensato di sfidare la bufera per andare in reparto a dare una mano.
Questo è stato il mio primo errore.

Ora, in qualunque posto civile, la vertiginosa quota di 10 centimetri di neve non basta a paralizzare la città (a meno che non cadano, non so, a Tunisi, o nel deserto del Nevada). Come vi ho detto, non sono un'esperta in materia, ma immagino che dopo la nevicata passino gli spazzaneve, gli spargisale, anche solo un omino con una pala, che cerchi di ripristinare una circolazione pressoché normale quantomeno per i servizi essenziali, come l'ospedale.
Qui da me non funziona così. Il nostro sindaco, di chiare origini spartane, crede fermamente nella necessità di temprare i suoi concittadini contro le avversità del destino, forse per prepararci all'imminente catastrofe annunciata dai Maya. Noi tutti gli siamo enormemente grati, e lo esprimiamo fustigandoci sulla pubblica piazza ad ogni elezione.

Arrivare da casa mia all'ospedale è davvero molto semplice: bisogna fare una rampa di scale, poi un lungo rettilineo, e infine una piccola salita fino al mio padiglione. Normalmente, è un percorso che non richiede più di 5 minuti, 10 compresa la sosta al bar per il cappuccino.
Stamattina, invece, mi sembrava di essere finita sul set di 2012. Per raggiungere l'ospedale ho dovuto scalare una cascata di ghiaccio che nulla aveva da invidiare all'iceberg che ha fritto il Titanic; poi, giunta in cima, ho dovuto guadare un Mekong di fango appiccicaticcio e gelato; infine, per gli ultimi metri, non ho avuto altra scelta che trascinarmi mestamente in mezzo alla neve fresca fino alla porta del reparto. Il tutto con le Converse.

Le scale sopra casa mia.
Quello che non sapevo, ovviamente, è che i miei guai erano appena iniziati. Infatti, come avevo già appurato in occasioni precedenti (vi ricordate 'o terremoto?), le avversità naturali sembrano avere un modo tutto loro di mettere i miei nonnetti particolarmente di buonumore. E stamattina non ha fatto eccezione.

Immaginate la scena. Ad un angolo del ring abbiamo l'Attrice, una bella signora dai lunghi capelli color ferro, con un passato in teatro, delle unghie da velociraptor e la nostalgia del marito (che per comodità chiameremo Luigi). All'angolo opposto, invece, abbiamo la Strega, una vecchietta piccola ma coriacea, con i capelli biondi e l'occhietto vitreo da Jack lo Squartatore. A separarle, solo la sottile paratia che divide le due camere adiacenti.

Voglio pensare che, a modo loro, abbiano solo cercato di renderci più piacevole la giornata. Non si spiega, altrimenti, il duetto di urla belluine che hanno messo in piedi alle otto del mattino e che è continuato almeno fino alle due, quando ho faticosamente guadagnato l'uscita del padiglione. Un coro di "Luigi!", "Aiuto!", "Soffoco!", "Basta!", che si chetava solo quando qualcuno di noi, più per esasperazione che per pietà, entrava nella loro stanza a consolarle, e che riprendeva immediatamente appena ricominciavamo il giro visite. Senza contare i parenti degli altri pazienti, che facevano capolino dalle rispettive stanze con lo sguardo del giudice Morton quando apre il bidone della salamoia.

Cucù!
Insomma, in una maniera o nell'altra siamo riusciti ad arrivare alla fine del giro. Ho atteso il tempo necessario per sollevare un minimo di lavoro dalle spalle dei miei colleghi, poi mi sono lanciata fuori dal reparto con la leggiadria di un leprotto invernale, desiderosa solo di mettere più chilometri possibili tra me e il concerto di Capodanno che non accennava a calmarsi. Col risultato che mi ci è voluto qualche tempo per assimilare quello che mi sono trovata davanti.

Il piazzale davanti all'ospedale era un'immensa, unica, brillante lastra di ghiaccio.

Ho fatto il resto della strada con uno stile che farebbe invidia a Carolina Kostner. Del resto, come giustamente mi hanno fatto notare, quale posto migliore per spezzarsi un femore che l'ospedale?

Nessun commento:

Posta un commento