Non mi piace parlare molto di me, fondamentalmente perché sono convinta che a nessuno interessi una mazza, ma se proprio dovessi trovare un modo per definirmi direi di essere una persona dai gusti semplici. Noiosa e monotona, direbbero alcuni, ma sta di fatto che mi basta poco per essere felice. Stare sdraiata in macchina durante una giornata piovosa, con la testa sulle ginocchia della persona che amo, a guardare le nuvole cambiare forma oltre il parabrezza, assomiglia molto alla mia idea di paradiso.
Naturalmente, non tutti la pensano alla mia stessa maniera. C'è molta gente che è piú esigente di me, sia dalla vita in generale che da coloro che la circondano, e non mi sento di biasimarla. E poi, ogni tanto, c'è chi trasforma l'esigenza in supponenza, e questa in diffidenza, e qui cominciano i problemi.
Il Professore, ovviamente, è uno di questi. A pensarci bene, se ho capito come ragiona, la sua dev'essere una vita abbastanza triste: è una persona con un passato da contadino, e con la cultura media delle persone del suo tempo, che vive nella convinzione di essere circondato da idioti. Il che, per inciso, può anche essere vero; ma non toglie che, dopo sei anni di studio matto e disperatissimo, sentirsi dare delle lezioni dal primo che passa può essere abbastanza irritante.
Per esempio, qualche giorno fa ha lamentato problemi ad andare di corpo. Indagando un attimo, sono riuscita a capire che il sistema di smistamento non era proprio del tutto inceppato, semplicemente andava un po' a rilento. Ciò nonostante, la cosa sembrava irritarlo a morte, ed insisteva per farsi fare un clistere.
"Mi dovete fare un clistere! Un cli-ste-re! Sapete, quando prendete quel tubo e lo infilate nel didietro, e poi aprite l'acqua..."
Ora, non ho mai preteso di essere un genio della medicina, anzi, le mie conoscenze sono sicuramente scarse rispetto a tutti i miei colleghi di reparto (che sono anche tutti più grandi di me, per essere onesti). Mi rendo anche conto che, quando compaio davanti ai pazienti alla mattina presto, è facile scambiare le mie occhiaie monumentali e lo sguardo rintronato da deprivazione di sonno con l'occhietto vitreo dello strafatto di crack, e non è un passaporto verso la fiducia degli altri.
Ciò nonostante, a parer mio, il semplice fatto di indossare un camice dovrebbe mandare un messaggio al paziente: e cioè che non sarò un genio, ma non c'è bisogno che mi insegni cos'è un clistere. Almeno quello lo so, grazie.
Quello che lo salva, l'unico aspetto positivo che impedisce di strozzarlo, è il fatto che è una persona abbastanza educata. Perciò, nella maggior parte dei casi, riesce a trasformare la sua supponenza in condiscendenza; che è ugualmente irritante, ma è nascosta dietro quel velo (molto sottile, per la verità) di cortesia che non ti permette di mandarlo a quel paese.
Ne ho avuto un assaggio quando sono andata nella sua stanza, un pomeriggio, per sottoporlo a una serie di test. Sono domande, perlopiù a quiz, che somministriamo a tutti i pazienti di una certa età per valutare quanto siano in pericolo di vita e quanto siano in grado di provvedere a tutte le loro faccende quotidiane. Solo che questo non sono riuscita a spiegarglielo.
Con me è stato molto gentile, al contrario che con gli altri dottori, forse perché essendo giovane gli faccio simpatia. Ha risposto a tutte le mie domande, ha eseguito tutti gli esercizi che gli ho chiesto di eseguire e non si è mai lamentato. Ha persino inframmezzato le pause tra un test e l'altro con una serie di aneddoti interessanti, tipo "come si prepara il sapone fatto in casa".
Ma per tutto il tempo, ogni volta che mi interrompevo un attimo per segnare un punteggio o ragionare su una risposta, mi faceva un sorrisetto dei suoi e buttava lì un "Spero che questo le serva per i suoi studi!". E io a rispiegargli, pazientemente, che quei test servivano più a lui che a me, e lui a scuotere la testa sorridendo, come se condividessimo un adorabile segreto. Odio.
La prova definitiva del suo gentile carattere, fortunatamente, non l'ho avuta io. Un giorno è arrivato in reparto uno psichiatra, per una consulenza su un'altra paziente (vi ricordate la Squaw?), e già che c'era gli abbiamo chiesto di dare un'occhiata anche al Professore. Sfortunatamente, era l'ora di pranzo, e lui era seduto sul letto con tutti i suoi vassoietti ordinatamente disposti davanti a sé.
La specializzanda (io ero solo appesa allo stipite della porta, a sbirciare) non ha fatto neanche in tempo a presentargli lo psichiatra, che lui ha reagito subito con sprezzo: "Andatevene."
Lo psichiatra ha tentato di augurargli il buongiorno, ma non ha fatto altro che peggiorare la situazione. "Andatevene, ho detto. Io ora sto mangiando e voi ve ne dovete andare. Tornate più tardi."
Mogi mogi, i due dottori hanno fatto per uscire, ma il Professore non ha resistito a dare la stoccatina finale.
"Tanto," ha sbottato "per il mestiere che fate, potete anche tornare in un altro momento."
Che personcina adorabile.
Naturalmente, non tutti la pensano alla mia stessa maniera. C'è molta gente che è piú esigente di me, sia dalla vita in generale che da coloro che la circondano, e non mi sento di biasimarla. E poi, ogni tanto, c'è chi trasforma l'esigenza in supponenza, e questa in diffidenza, e qui cominciano i problemi.
Il Professore, ovviamente, è uno di questi. A pensarci bene, se ho capito come ragiona, la sua dev'essere una vita abbastanza triste: è una persona con un passato da contadino, e con la cultura media delle persone del suo tempo, che vive nella convinzione di essere circondato da idioti. Il che, per inciso, può anche essere vero; ma non toglie che, dopo sei anni di studio matto e disperatissimo, sentirsi dare delle lezioni dal primo che passa può essere abbastanza irritante.
Per esempio, qualche giorno fa ha lamentato problemi ad andare di corpo. Indagando un attimo, sono riuscita a capire che il sistema di smistamento non era proprio del tutto inceppato, semplicemente andava un po' a rilento. Ciò nonostante, la cosa sembrava irritarlo a morte, ed insisteva per farsi fare un clistere.
"Mi dovete fare un clistere! Un cli-ste-re! Sapete, quando prendete quel tubo e lo infilate nel didietro, e poi aprite l'acqua..."
Ora, non ho mai preteso di essere un genio della medicina, anzi, le mie conoscenze sono sicuramente scarse rispetto a tutti i miei colleghi di reparto (che sono anche tutti più grandi di me, per essere onesti). Mi rendo anche conto che, quando compaio davanti ai pazienti alla mattina presto, è facile scambiare le mie occhiaie monumentali e lo sguardo rintronato da deprivazione di sonno con l'occhietto vitreo dello strafatto di crack, e non è un passaporto verso la fiducia degli altri.
Ciò nonostante, a parer mio, il semplice fatto di indossare un camice dovrebbe mandare un messaggio al paziente: e cioè che non sarò un genio, ma non c'è bisogno che mi insegni cos'è un clistere. Almeno quello lo so, grazie.
Quello che lo salva, l'unico aspetto positivo che impedisce di strozzarlo, è il fatto che è una persona abbastanza educata. Perciò, nella maggior parte dei casi, riesce a trasformare la sua supponenza in condiscendenza; che è ugualmente irritante, ma è nascosta dietro quel velo (molto sottile, per la verità) di cortesia che non ti permette di mandarlo a quel paese.
Ne ho avuto un assaggio quando sono andata nella sua stanza, un pomeriggio, per sottoporlo a una serie di test. Sono domande, perlopiù a quiz, che somministriamo a tutti i pazienti di una certa età per valutare quanto siano in pericolo di vita e quanto siano in grado di provvedere a tutte le loro faccende quotidiane. Solo che questo non sono riuscita a spiegarglielo.
Con me è stato molto gentile, al contrario che con gli altri dottori, forse perché essendo giovane gli faccio simpatia. Ha risposto a tutte le mie domande, ha eseguito tutti gli esercizi che gli ho chiesto di eseguire e non si è mai lamentato. Ha persino inframmezzato le pause tra un test e l'altro con una serie di aneddoti interessanti, tipo "come si prepara il sapone fatto in casa".
Ma per tutto il tempo, ogni volta che mi interrompevo un attimo per segnare un punteggio o ragionare su una risposta, mi faceva un sorrisetto dei suoi e buttava lì un "Spero che questo le serva per i suoi studi!". E io a rispiegargli, pazientemente, che quei test servivano più a lui che a me, e lui a scuotere la testa sorridendo, come se condividessimo un adorabile segreto. Odio.
La prova definitiva del suo gentile carattere, fortunatamente, non l'ho avuta io. Un giorno è arrivato in reparto uno psichiatra, per una consulenza su un'altra paziente (vi ricordate la Squaw?), e già che c'era gli abbiamo chiesto di dare un'occhiata anche al Professore. Sfortunatamente, era l'ora di pranzo, e lui era seduto sul letto con tutti i suoi vassoietti ordinatamente disposti davanti a sé.
La specializzanda (io ero solo appesa allo stipite della porta, a sbirciare) non ha fatto neanche in tempo a presentargli lo psichiatra, che lui ha reagito subito con sprezzo: "Andatevene."
Lo psichiatra ha tentato di augurargli il buongiorno, ma non ha fatto altro che peggiorare la situazione. "Andatevene, ho detto. Io ora sto mangiando e voi ve ne dovete andare. Tornate più tardi."
Mogi mogi, i due dottori hanno fatto per uscire, ma il Professore non ha resistito a dare la stoccatina finale.
"Tanto," ha sbottato "per il mestiere che fate, potete anche tornare in un altro momento."
Che personcina adorabile.
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