Per ringraziarvi di essere tornati a leggere nonostante un mese e mezzo di mia assenza, voglio raccontarvi di cosa succede quando invece una persona perde le speranze. O meglio, di quando le perde senza ragione, visto che in caso contrario non ci sarebbe proprio nulla da ridere. Insomma, voglio parlarvi di Violetta.
Violetta è arrivata da noi quasi sotto silenzio, perché le sue condizioni erano tutto tranne che allarmanti. Era una signora molto giovanile, dalla parlantina vivace, che era stata trasferita in ospedale dal pensionato in cui si trovava per una bronchite. Ora, una bronchite ad una certa età deve sempre mettere in allarme, perché non si sa mai cosa può succedere, ma le cure prestate al pronto soccorso erano state molto efficaci e, quando noi l'abbiamo visitata, non abbiamo trovato nulla di preoccupante. Era stata solo una semplice bronchite, nulla più, da cui il soprannome.
(NdA: i classicisti, per favore, non mi saltino al collo. Lo so benissimo che Violetta - quella vera - è morta di tubercolosi, non di bronchite. Tuttavia, mi trovavo abbastanza sprovvista di paragoni calzanti, e inoltre, come vedrete, la tragicità della sua situazione non ha nulla da invidiare a quella della Traviata. Leggete e credetemi!)
Una traviata a caso. |
Dunque, la visita è stata accurata ma abbastanza breve, anche perché la signora sembrava abbastanza tranquilla e collaborante.
Sembrava.
Non sono passati dieci minuti da quando io e il dottore avevamo ripreso il giro, che l'ho sentita chiamare.
"Dottore! Dottore!"
Sono andata a vedere cosa volesse, mentre il dottore finiva di visitare un altro paziente, e l'ho trovata appesa alle sbarre del letto con aria sofferente.
"Cosa c'è, cara?"
"Me lo leva questo affare?" ha guaito, mostrandomi il polso, dove gli infermieri del pronto soccorso le avevano lasciato la cannula della flebo. "Mi sta facendo impazzire!"
"Cara, sarebbe meglio di no, perché se poi dobbiamo farle un prelievo la dobbiamo bucare come un puntaspilli. Se non le fa male è meglio che lo tenga, va bene?"
Mi ha lanciato uno sguardo infelice, poi ha annuito. "Va bene, dottoressa."
Ho fatto a malapena in tempo a raggiungere il dottore, che ha ricominciato a chiamare.
"Dottore! Dottore!"
Questa volta mi sono fatta accompagnare dal dottore, e gli ho spiegato brevemente la situazione della flebo prima che entrassimo nella stanza. Non sto a descrivervi la scena successiva, perché è stata la fotocopia della prima: il dottore le ha ripetuto quello che le avevo detto io, e lei si è arresa di malavoglia.
Non avevamo fatto neanche dieci passi, però, che Violetta ha chiamato per la terza volta. A questo punto il dottore, rassegnato, non ha potuto far altro che accontentarla, raccomandandole alla fine di stare quieta per un pochino.
Sì, come no.
Saranno passati dieci minuti, forse, quando il lamento è ricominciato.
"Dottore! Dottore!"
Io ho guardato il dottore, il dottore ha guardato me, e il suo sguardo diceva pressappoco "Prova ad allontanarti da questo carrello e ti prendo a fucilate." Mi sono rassegnata a lasciarla lamentarsi per un po', ma non immaginavo che lei avesse già una strategia pronta.
Un attimo di silenzio, e poi: "Dottoressa bionda! Dottoressa bionda!!"
Era abbastanza chiaro a chi si riferisse, tanto chiaro che il dottore è scoppiato a ridere e mi ha dato il permesso di rispondere alla chiamata. Sono entrata nella stanza, un po' indecisa se ridere o offendermi, e l'ho trovata rannicchiata sul letto con un'espressione che avrebbe fatto piangere i sassi.
Ecco, giusto per rendere l'idea. |
"Non lo so, stella." Ho cercato di tranquillizzarla come potevo: "Sarà al lavoro. Che lavoro fa?"
"Insegna all'università..."
"E allora starà lavorando, è orario di lezione."
La risposta non è sembrata rassicurarla granché, se devo essere sincera.
"Ma non viene a trovarmi?"
"Ma certo che viene, cara, arriverà più tardi."
Allora le si è accartocciata la faccia come un fazzoletto, e ha pigolato "Se arriva più tardi mi trova morta di sicuro!"
A questo punto, ammetto che sono rimasta abbastanza spiazzata. Mi era già capitato di dover tranquillizzare pazienti in gravi condizioni, ma non sapevo da dove cominciare a calmare una persona che chiaramente non aveva più nulla. Mi sono seduta sul bordo del letto, cercando di raccapezzarmi.
"Cara, non dica queste sciocchezze. Lei sta benissimo, perché dovrebbe morire?"
"Perché sono in ospedale" ha piagnucolato Violetta. Logica inappuntabile.
"Ma adesso è guarita, tra poco la manderanno a casa. Ha avuto solo una bronchite, non si muore per così poco!" (Ok, questa era una bugia, però a fin di bene.)
Insomma, dai e dai sono riuscita a convincerla che non era il caso di chiamare il parroco, e mi sono alzata dal letto. Lei si è allarmata immediatamente.
"Dove va?!"
"Devo andare a visitare gli altri malati, cara."
"Ah... va bene, allora."
Sono uscita dalla stanza e ho raggiunto il dottore, che nel frattempo aveva quasi completato il giro, parlato coi parenti e vinto tre premi Nobel. E ovviamente...
"Dottoressa bionda! Dottoressa bionda!!"
Il dottore non ha alzato neanche un sopracciglio. "Vuole te."
Nel frattempo, giusto per darvi un'idea, avevamo a un capo del corridoio un ultrà del Manchester United che chiamava la mamma a squarciagola più o meno da un'ora e mezza, e all'altro capo la Squaw (sì, sempre lei) in una delle sue esibizioni liriche migliori.
Sono rientrata meditando pensieri omicidi, e Violetta si è subito azzittita.
"Cosa c'è adesso, cara?"
"Quando arriva mio figlio?"
Ho chiamato a supporto tutti gli angeli del Paradiso.
"È al lavoro, cara, arriverà più tardi. Ora devo andare, però."
"Aspetti!" ha detto precipitosamente, per poi inalberare la faccia da gatto-con-gli-stivali. "Non vuole restare a farmi un po' di compagnia?"
Qualcosa si è sciolto in questo vecchio cuore acido. "Cara, mi piacerebbe tanto, ma ci sono altre persone che stanno male. Devo andare a visitare un po' anche loro. Le prometto che torno presto, ma lei ora deve stare buona qui."
"Oh... capisco. Però... dottoressa..."
"Sì?"
"Quando arriva mio figlio?"
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