In queste sei settimane scarse, vi ho descritto, con ironia talvolta impietosa, una notevole accozzaglia di soggetti più o meno bizzarri con cui mi sono trovata a che fare. Scherzi a parte, però, non mi era mai successo di dovermi confrontare con un vero malato di mente: dementi, iracondi, con qualche venerdì in meno, di quelli ne ho incontrati a iosa, ma un "pazzo" nel senso psichiatrico del termine non mi era mai capitato.
Però, visto che Dio vede e provvede, ultimamente ho avuto modo di aggiungere anche questa esperienza al mio bagaglio.
Non so se ci avete fatto caso, ma nelle pagine precedenti ho sempre evitato di addentrarmi troppo in profondità nel descrivere le condizioni cliniche dei miei pazienti. Questo per diverse ragioni: legali, di etica professionale, e soprattutto di rispetto. Ma anche se per una volta decidessi di abiurare a questo mio principio, sinceramente non saprei dirvi con precisione di che disturbo soffra la Squaw: le mie conoscenze di psichiatria sono quel che sono, mi spiace, quindi abbiate pazienza ed accontentatevi della descrizione.
Il mio primo contatto con la Squaw è avvenuto una mattina presto, mentre stavo controllando i resoconti delle infermiere del turno di notte. Capita spesso che i pazienti mediamente autosufficienti, che come tutti gli anziani si svegliano di buon'ora, si accampino provvisoriamente davanti alla televisione del salottino del reparto, quindi col tempo ho imparato a ignorare i rumori di fondo del primo mattino e a concentrarmi sul mio lavoro.
Quella mattina ricordo di aver registrato vagamente i rumori che mi giungevano dal corridoio, e di aver concluso che probabilmente in tv doveva esserci un cartone animato di Scooby-Doo. O quello, o un'opera lirica eseguita dal peggior cane della storia. Ma, come vi ho detto, non ci ho fatto particolarmente caso, sino a quando ho visto la signora delle pulizie entrare sghignazzando nella sala infermieri e lasciarsi cadere su una seggiola, stanca morta per le risate. Solo allora, con la prontezza per cui sono famosa, ho realizzato che forse qualcosa non andava.
Dal corridoio proveniva un "OoooooooooOOOOOOoooo-oooo", uguale spiccicato al verso che fanno i fantasmi nei vecchi cartoni animati (quell'ululato un po' stridulo, avete presente?). Mancava solo il clangore delle catene e mi sarei spaventata di brutto. La situazione non è migliorata quando, con un po' di timore, mi sono avventurata fino alla fonte del suono ed ho visto una signora, nel suo lettino, che agitava le braccia a tempo con gli ululati, come un direttore d'orchestra.
Siccome non sembrava che fosse in pericolo immediato, passato il primo stupore ho deciso di ignorarla e mi sono rimessa al lavoro. Sarà passata un'ora, più o meno, stavo facendo il giro visite con la specializzanda, quando un altro rumore mi ha distratta.
Questa volta era un goglottio (sono andata a cercare la parola giusta a beneficio vostro, ché non si dica che questo blog non fa educazione), ossia - per farla breve - il verso del tacchino. Ora, lo so che la mia esperienza precedente avrebbe dovuto facilitarmi nel fare due più due, ma provate a mettervi nei miei panni e ditemi se, nel bel mezzo di una corsia d'ospedale, non rimarreste abbastanza spaesati nel sentire un "Gluglugluglugluglu" che riecheggia alle nove del mattino. In breve, ci ho messo un po' a collegare questo suono all'episodio di prima, ma alla fine ho concluso che la Squaw doveva essere scesa sul piede di guerra e che, finché non dissotterrava il Tomahawk, non erano fatti miei.
Il che dimostra, una volta di più, che l'apparenza inganna. Perché quando, alla fine del giro, sono tornata indietro e sono finalmente passata davanti alla stanza della Squaw, ho appreso con orrore che quei versi che emetteva non erano un virtuosismo dettato da una fantasia momentanea.
Era la sua voce. La sua voce normale, intendo.
A questo punto, vi aspetterete che descriva il meraviglioso gesto di pietà che ho avuto nei confronti di questa povera anima tormentata. Sì, se la comprensione mi fosse giunta qualche ora prima avrei anche potuto andare a consolare la povera Squaw.
Se non che, vedete, nel nostro reparto il giro visite comincia più o meno alle nove e termina poco dopo mezzogiorno. Quel giorno in particolare avevamo avuto un'altra signora che si era sentita male ed aveva monopolizzato le nostre attenzioni per un po', quindi il giro era finito verso l'una.
Ed era dalle nove che la Squaw goglottava ininterrottamente.
Tacciatemi di negligenza e cinismo becero, ma considero già un grande gesto di pietà l'essermi trattenuta dallo strozzarla con le mie mani.
Però, visto che Dio vede e provvede, ultimamente ho avuto modo di aggiungere anche questa esperienza al mio bagaglio.
Non so se ci avete fatto caso, ma nelle pagine precedenti ho sempre evitato di addentrarmi troppo in profondità nel descrivere le condizioni cliniche dei miei pazienti. Questo per diverse ragioni: legali, di etica professionale, e soprattutto di rispetto. Ma anche se per una volta decidessi di abiurare a questo mio principio, sinceramente non saprei dirvi con precisione di che disturbo soffra la Squaw: le mie conoscenze di psichiatria sono quel che sono, mi spiace, quindi abbiate pazienza ed accontentatevi della descrizione.
Il mio primo contatto con la Squaw è avvenuto una mattina presto, mentre stavo controllando i resoconti delle infermiere del turno di notte. Capita spesso che i pazienti mediamente autosufficienti, che come tutti gli anziani si svegliano di buon'ora, si accampino provvisoriamente davanti alla televisione del salottino del reparto, quindi col tempo ho imparato a ignorare i rumori di fondo del primo mattino e a concentrarmi sul mio lavoro.
Quella mattina ricordo di aver registrato vagamente i rumori che mi giungevano dal corridoio, e di aver concluso che probabilmente in tv doveva esserci un cartone animato di Scooby-Doo. O quello, o un'opera lirica eseguita dal peggior cane della storia. Ma, come vi ho detto, non ci ho fatto particolarmente caso, sino a quando ho visto la signora delle pulizie entrare sghignazzando nella sala infermieri e lasciarsi cadere su una seggiola, stanca morta per le risate. Solo allora, con la prontezza per cui sono famosa, ho realizzato che forse qualcosa non andava.
Dal corridoio proveniva un "OoooooooooOOOOOOoooo-oooo", uguale spiccicato al verso che fanno i fantasmi nei vecchi cartoni animati (quell'ululato un po' stridulo, avete presente?). Mancava solo il clangore delle catene e mi sarei spaventata di brutto. La situazione non è migliorata quando, con un po' di timore, mi sono avventurata fino alla fonte del suono ed ho visto una signora, nel suo lettino, che agitava le braccia a tempo con gli ululati, come un direttore d'orchestra.
Siccome non sembrava che fosse in pericolo immediato, passato il primo stupore ho deciso di ignorarla e mi sono rimessa al lavoro. Sarà passata un'ora, più o meno, stavo facendo il giro visite con la specializzanda, quando un altro rumore mi ha distratta.
Questa volta era un goglottio (sono andata a cercare la parola giusta a beneficio vostro, ché non si dica che questo blog non fa educazione), ossia - per farla breve - il verso del tacchino. Ora, lo so che la mia esperienza precedente avrebbe dovuto facilitarmi nel fare due più due, ma provate a mettervi nei miei panni e ditemi se, nel bel mezzo di una corsia d'ospedale, non rimarreste abbastanza spaesati nel sentire un "Gluglugluglugluglu" che riecheggia alle nove del mattino. In breve, ci ho messo un po' a collegare questo suono all'episodio di prima, ma alla fine ho concluso che la Squaw doveva essere scesa sul piede di guerra e che, finché non dissotterrava il Tomahawk, non erano fatti miei.
Il che dimostra, una volta di più, che l'apparenza inganna. Perché quando, alla fine del giro, sono tornata indietro e sono finalmente passata davanti alla stanza della Squaw, ho appreso con orrore che quei versi che emetteva non erano un virtuosismo dettato da una fantasia momentanea.
Era la sua voce. La sua voce normale, intendo.
A questo punto, vi aspetterete che descriva il meraviglioso gesto di pietà che ho avuto nei confronti di questa povera anima tormentata. Sì, se la comprensione mi fosse giunta qualche ora prima avrei anche potuto andare a consolare la povera Squaw.
Se non che, vedete, nel nostro reparto il giro visite comincia più o meno alle nove e termina poco dopo mezzogiorno. Quel giorno in particolare avevamo avuto un'altra signora che si era sentita male ed aveva monopolizzato le nostre attenzioni per un po', quindi il giro era finito verso l'una.
Ed era dalle nove che la Squaw goglottava ininterrottamente.
Tacciatemi di negligenza e cinismo becero, ma considero già un grande gesto di pietà l'essermi trattenuta dallo strozzarla con le mie mani.
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