Ognuno vive il ricovero in ospedale a suo modo. C'è chi ha paura e diventa lagnoso, c'è chi si fa forza e tira avanti, c'è chi non ha neanche le forze per alzarsi dal letto e vegeta tutto il giorno.
E poi, raramente ma si trova, c'è chi ha scambiato l'ospedale per un albergo. E non la pensione Aurora dietro casa. Un albergo di lusso, un bel cinque stelle in riva al mare, dove ogni notte ti costa quanto un rene e il personale, giustamente, accorre ad ogni tuo desiderio. "Lavoro-guadagno-spendo-pretendo", per così dire.
Uno di questi è il Padrino.
Ora, se devo essere sincera, il Padrino è uno di quei pochi pazienti che proprio non mi piace. Non che questo mi autorizzi a trattarlo peggio degli altri, sia chiaro, ma di pelle mi sta davvero antipatico, per diverse ragioni.
Innanzitutto perché, mi rincresce dirlo, è una persona sporca. Passa le sue giornate a scaracchiare dentro montagne di fazzoletti, che finiscono tutti in un sacchetto nero della spazzatura che chissà come è riuscito a procurarsi, e che tiene appeso alla sponda del letto. E già l'idea dell'igiene va un po' a farsi benedire, quando per auscultargli il cuore devi sporgerti sopra un mucchio di fazzoletti impregnati di catarro, cercando di trattenere il respiro per non far penzolare il camice più di tanto.
In secondo luogo, è terribilmente bugiardo. Ora, vi ho già detto che i vecchietti sono spesso come i bambini, quindi ogni tanto capita che qualcheduno racconti una bugia a fin di bene, ma di solito quando vengono scoperti si comportano proprio come i bambini: inalberano un'aria mezza furbetta e mezza vergognosa, magari continuano a negare, ma hanno quell'aria di complicità come per dire "Ok, lo so che mi hai scoperto, ma fammi divertire ancora un po'". Lui no. Ci abbiamo messo qualche giorno prima di scoprire che faceva solo finta di ingoiare la sua terapia, per poi sputare le pastiglie non appena l'infermiera girava l'occhio, ma non è stato facile farglielo ammettere. Ha quel cipiglio dell'uomo abituato a comandare, il patriarca, più che il Padrino, per cui quando dice no è no. E poco importa che abbia poca fantasia, per cui le pastiglie sputate siano chiaramente visibili sul comodino, tu azzardati a contraddirlo e ne pagherai le conseguenze.
E infine, last but not least, per lui l'ospedale non è un luogo di cura. Come dicevo prima, è un albergo costoso ma neanche tanto ben servito.
La scena è più o meno sempre la stessa. Fai il giro visite, entri a visitarlo, lo tasti per un pochino (sempre coi guanti, per carità), lo aggiorni, lo saluti e fai per uscire. Normalmente siamo in tre o quattro a fare il giro, e l'ultimo della fila sa già che cosa gli accadrà.
"Infermiera!"
Sospiro. "Non sono infermiera, sono una dottoressa. Mi dica."
"Mi avvicina il comodino?"
Tu gli avvicini il comodino. "Va bene così?"
"Mi versa l'acqua?"
"Guardi, le apro la bottiglietta così fa da sé, va bene?"
Il cipiglio s'incupisce. Man mano che si arrabbia, il Padrino abbassa il tono di voce fino a renderla un sussurro: il che non è positivo, perché già ha un pesante accento delle sue parti, che non aiuta la comprensione. Il che poi lo fa ulteriormente incazzare, e così via.
"Mi-può-versare-l'acqua?" Quando inizia a scandire le parole, sai di essere nei guai. Rassegnata, gli versi l'acqua nel bicchiere.
"Mi va a prendere degli altri fazzoletti?"
Tu vai in bagno e strappi qualche fazzoletto di carta dal dispenser sul muro, ma ormai cominciano a pruderti le mani, perché sai che potrebbe farlo benissimo da solo, se volesse. Potrebbe alzarsi e mettersi a fare le capriole, se è per questo. Così gli molli il pacco di fazzoletti sulle ginocchia, ti appiccichi un sorriso sulla faccia e fai per andartene, visto che ormai gli altri dottori hanno praticamente già finito il giro da soli.
"Infermiera, mi controlla l'ossigeno?"
Crock, scrocchiano le mani strette a pugno. "Non sono infermiera. E l'ossigeno va bene così com'è, abbiamo controllato prima."
"Mi sposta il sacchetto?"
A questo punto scatta l'istinto di sopravvivenza. Gli sorridi cordialmente e rispondi: "Quale sacchetto, scusi?"
"Quello" il Padrino te lo indica con gli occhi, il suo puzzolentissimo sacchetto nero dei fazzoletti.
"Non ho capito, quale?"
"Quel-lo!" al movimento degli occhi aggiunge un cenno del dito, mentre contemporaneamente ti guarda come se fossi una lumaca spiaccicata in un fosso.
Mantieni il sorriso. "Non capisco, quale sacchetto?"
"QUESTO!" paf! e ci schiaffa la mano sopra. Sorriso ancora più ampio. "Oh, bene, vedo che ci arriva anche da solo. Buona giornata!"
Padrino 0 - Bolla 1
venerdì 27 aprile 2012
giovedì 26 aprile 2012
La Cuoca
Oggi sono in lutto. Se n'è andata la Cuoca.
Non nel senso che è morta! Se n'è proprio andata, è tornata a casa sua sulle montagne, e di sicuro sta meglio lì che qua, ma ciò nonostante mi manca.
Andiamo con ordine.
La Cuoca è una signora di quasi un secolo, che è arrivata da noi perché si è arrotolata giù dalle scale. Per immaginarvela dovete pensare alla Signorina Spezzindue di Matilde... non l'avete mai letto? Male! Comunque, è un donnone largo due volte me, grassa ma pure grossa, con delle mani come padelle e il carattere docile e mansueto di un coccodrillo con un cobra attaccato alle palle. Ecco, ora vi siete fatti un'idea della Cuoca.
La chiamo così perché, fino a prima dell'incidente, la signora lavorava tranquillamente nella trattoria di famiglia, ed è stato proprio da quelle scale che è precipitata fino a spetasciarsi sul pavimento. Non s'è fatta niente di grave, si è un po' ammaccata un occhio e si è rotta un braccio, ma in definitiva poteva andarle peggio.
Comunque, per una donna di quell'età non dev'essere facile il passaggio dall'ambiente familiare ad un ospedale, come non è facile per nessuno. Se poi aggiungete che questa donna è abituata a comandare tutti gli altri a bacchetta dai tempi in cui Gandhi si succhiava ancora il pollice nella culla, avrete un'idea della tragicità della situazione.
Ecco, ora che vi ho dato tutti gli elementi per valutare la faccenda, provate a metterli assieme: una donna con le efebiche proporzioni di Cassius Clay, un carattere degno di Hitler con un dente cariato, un gesso al braccio.
Voi avete già capito. Io ci ho messo un po' di più. Lei invece ci è arrivata subito, al fatto che un gesso nelle mani di una donnina del genere può diventare letale come una graffetta nelle mani di MacGyver.
Tranquilli, alla terza volta in cui per poco non mi ha portato via un orecchio, ci sono arrivata anch'io.
Come se non bastasse, a tutto ciò si è aggiunto il figlio. Adesso dico una banalità per cui mi odierete, ma nella maggior parte dei casi (e grazie al cielo ci sono le eccezioni) è molto più difficile trattare coi parenti, che coi pazienti. Perché il paziente è lì, sta male ma vede benissimo che cosa succede, e sa che se suona il campanello e l'infermiera non arriva entro i primi 10 secondi, magari può aspettarne altri 10 prima di incazzarsi, specie se attorno a lui è appena esploso l'inferno.
Il parente no. Il parente, sicuramente in buona fede, vorrebbe che l'intero reparto girasse attorno al suo congiunto malato. Se fossero presenti giorno e notte un medico, due infermieri, un anestesista e un prete al capezzale del suo caro, probabilmente lo sentireste comunque mugugnare che il cibo non è buono, che il letto è troppo rigido e che le pillole hanno un colore strano. Del resto, le situazioni di stress non tirano mai fuori il meglio delle persone, e immagino poche situazioni stressanti come assistere un tuo parente in ospedale.
Comunque, il fatto è che, come vi ho detto, la signora in questione sta sfiorando il secolo. Il che, facendo due rapidi calcoli basati sull'aspetto fisico, colloca il suo caro figliolo in una fascia di età molto prossima ai 75 anni. Roba da rischiare che non lo facessero uscire dal reparto, alla fine dell'orario di visite.
Il tipico ritornello del figliol prodigo era sempre lo stesso. "Mia mamma è sempre a letto, possibile che non l'alziate mai? Ma che razza di reparto è questo?" E questo ci poneva in una situazione di imbarazzo: perché o sei piovuto adesso da Marte, oppure lo vedi benissimo che la cara vecchietta non permette a nessuno di avvicinarsi a rischio di fracassarti i denti con un uppercut. Delle due l'una.
Alla fine, la nostra dottoressa, straziata dai continui appostamenti del caro figliolo (che aveva sviluppato una tecnica tutta sua di tampinarci mentre facevamo il giro visite, un po' come quegli storici napoletani che di professione facevano gli iettatori), ha elaborato una via d'uscita. Ha preso da parte il giovanotto e gli ha spiegato che la signora comincia ad avere una certa età (che sembra una banalità, ma a guardarlo sorgeva il dubbio sulla sua consapevolezza della situazione) e che, una volta tornata a casa, avrebbe avuto bisogno di assistenza notte e giorno per controllare che non si ferisse di nuovo; per cui, sarebbe stato meglio che le cercasse una badante, e che magari la mandasse in ospedale in attesa del rientro a casa per cominciare a familiarizzare con la signora e, con l'assistenza del figlio, per renderla un po' più collaborativa.
Il figliolo ci ha pensato per un pochino, poi ha annuito e ci ha assicurato che si sarebbe messo in moto immediatamente.
Nessuno l'ha più visto per le due settimane successive.
A pensarci bene, non sono del tutto sicura che gli abbiamo fatto un favore, rimandandogli a casa la cara mamma. Però... ogni tanto mi figuro la scena di lei che strozza il figlio con la mano sana, tipo Homer Simpson con Bart, oppure che gli lancia dietro la padella quando lui cerca di farle fare un po' di movimento...
...e non so perché, mi torna il buonumore.
Non nel senso che è morta! Se n'è proprio andata, è tornata a casa sua sulle montagne, e di sicuro sta meglio lì che qua, ma ciò nonostante mi manca.
Andiamo con ordine.
La Cuoca è una signora di quasi un secolo, che è arrivata da noi perché si è arrotolata giù dalle scale. Per immaginarvela dovete pensare alla Signorina Spezzindue di Matilde... non l'avete mai letto? Male! Comunque, è un donnone largo due volte me, grassa ma pure grossa, con delle mani come padelle e il carattere docile e mansueto di un coccodrillo con un cobra attaccato alle palle. Ecco, ora vi siete fatti un'idea della Cuoca.
La chiamo così perché, fino a prima dell'incidente, la signora lavorava tranquillamente nella trattoria di famiglia, ed è stato proprio da quelle scale che è precipitata fino a spetasciarsi sul pavimento. Non s'è fatta niente di grave, si è un po' ammaccata un occhio e si è rotta un braccio, ma in definitiva poteva andarle peggio.
Comunque, per una donna di quell'età non dev'essere facile il passaggio dall'ambiente familiare ad un ospedale, come non è facile per nessuno. Se poi aggiungete che questa donna è abituata a comandare tutti gli altri a bacchetta dai tempi in cui Gandhi si succhiava ancora il pollice nella culla, avrete un'idea della tragicità della situazione.
Ecco, ora che vi ho dato tutti gli elementi per valutare la faccenda, provate a metterli assieme: una donna con le efebiche proporzioni di Cassius Clay, un carattere degno di Hitler con un dente cariato, un gesso al braccio.
Voi avete già capito. Io ci ho messo un po' di più. Lei invece ci è arrivata subito, al fatto che un gesso nelle mani di una donnina del genere può diventare letale come una graffetta nelle mani di MacGyver.
Tranquilli, alla terza volta in cui per poco non mi ha portato via un orecchio, ci sono arrivata anch'io.
Come se non bastasse, a tutto ciò si è aggiunto il figlio. Adesso dico una banalità per cui mi odierete, ma nella maggior parte dei casi (e grazie al cielo ci sono le eccezioni) è molto più difficile trattare coi parenti, che coi pazienti. Perché il paziente è lì, sta male ma vede benissimo che cosa succede, e sa che se suona il campanello e l'infermiera non arriva entro i primi 10 secondi, magari può aspettarne altri 10 prima di incazzarsi, specie se attorno a lui è appena esploso l'inferno.
Il parente no. Il parente, sicuramente in buona fede, vorrebbe che l'intero reparto girasse attorno al suo congiunto malato. Se fossero presenti giorno e notte un medico, due infermieri, un anestesista e un prete al capezzale del suo caro, probabilmente lo sentireste comunque mugugnare che il cibo non è buono, che il letto è troppo rigido e che le pillole hanno un colore strano. Del resto, le situazioni di stress non tirano mai fuori il meglio delle persone, e immagino poche situazioni stressanti come assistere un tuo parente in ospedale.
Comunque, il fatto è che, come vi ho detto, la signora in questione sta sfiorando il secolo. Il che, facendo due rapidi calcoli basati sull'aspetto fisico, colloca il suo caro figliolo in una fascia di età molto prossima ai 75 anni. Roba da rischiare che non lo facessero uscire dal reparto, alla fine dell'orario di visite.
Il tipico ritornello del figliol prodigo era sempre lo stesso. "Mia mamma è sempre a letto, possibile che non l'alziate mai? Ma che razza di reparto è questo?" E questo ci poneva in una situazione di imbarazzo: perché o sei piovuto adesso da Marte, oppure lo vedi benissimo che la cara vecchietta non permette a nessuno di avvicinarsi a rischio di fracassarti i denti con un uppercut. Delle due l'una.
Alla fine, la nostra dottoressa, straziata dai continui appostamenti del caro figliolo (che aveva sviluppato una tecnica tutta sua di tampinarci mentre facevamo il giro visite, un po' come quegli storici napoletani che di professione facevano gli iettatori), ha elaborato una via d'uscita. Ha preso da parte il giovanotto e gli ha spiegato che la signora comincia ad avere una certa età (che sembra una banalità, ma a guardarlo sorgeva il dubbio sulla sua consapevolezza della situazione) e che, una volta tornata a casa, avrebbe avuto bisogno di assistenza notte e giorno per controllare che non si ferisse di nuovo; per cui, sarebbe stato meglio che le cercasse una badante, e che magari la mandasse in ospedale in attesa del rientro a casa per cominciare a familiarizzare con la signora e, con l'assistenza del figlio, per renderla un po' più collaborativa.
Il figliolo ci ha pensato per un pochino, poi ha annuito e ci ha assicurato che si sarebbe messo in moto immediatamente.
Nessuno l'ha più visto per le due settimane successive.
A pensarci bene, non sono del tutto sicura che gli abbiamo fatto un favore, rimandandogli a casa la cara mamma. Però... ogni tanto mi figuro la scena di lei che strozza il figlio con la mano sana, tipo Homer Simpson con Bart, oppure che gli lancia dietro la padella quando lui cerca di farle fare un po' di movimento...
...e non so perché, mi torna il buonumore.
mercoledì 25 aprile 2012
L'Enigmista
C'è un fantasma che si aggira per il reparto.
Tutti ne sono a conoscenza, ma nella foga del lavoro quotidiano uno tende a dimenticarselo. Sei lì che schizzi da una parte all'altra della corsia perché è arrivato il nuovo paziente, e la signora laggiù deve andare a fare i raggi, e vai a dire all'infermiera di dare una pastiglia a questo qui perché sennò gli scoppia un'arteria, e scansati che arriva il carrello dei pasti. E fin qui tutto bene.
Poi, una volta succede che ti stai facendo gli affari tuoi, magari stai andando a prendere la pressione alla signora del letto in fondo che c'ha una faccia che non mi piace. E sei lì, col tuo sfigmo in una mano e lo stetoscopio attorno al collo, che percorri la corsia pensando al fatto che quando tornerai il professore ti farà una domanda trabocchetto su uno dei pazienti che hai appena visitato, e quindi cerchi di fare mente locale per sviscerare qualunque possibile domanda bastarda che gli potrebbe venire in mente.
Quando ad un tratto...
"Dottoressa!"
Ahia. Ecco, me n'ero dimenticata. Perché c'è sempre lei, seconda stanza a destra, che ti tende gli agguati quando meno te lo aspetti. Lei, l'Enigmista.
L'Enigmista è una donna subdola. Ha un aspetto giovanile e l'occhio acuto, il che potrebbe portarti a pensare che sia una donna ragionevole, con la quale si può discutere in serenità delle sue condizioni di salute.
Niente di più sbagliato.
L'Enigmista è arrivata un paio di settimane fa, dopo essere svenuta in bagno mentre faceva i suoi affari. Grazie al cielo, prima di essere trasportata di corsa al pronto soccorso è riuscita ad acchiappare la cartellina con tutti i suoi vecchi esami e ricoveri, così siamo riusciti a farci un'idea della sua storia (avremmo potuto chiederla a lei, mi dite? Poveri illusi). In pratica, 'sta donna entra ed esce dagli ospedali da un sacco di tempo per problemini di poca importanza, compresa questa storia degli svenimenti. Nei precedenti ricoveri l'hanno rivoltata come un calzino per riuscire a capire cosa li causasse, e anche noi in questo paio di settimane ci siamo spremuti le meningi per trovare la causa, ma purtroppo, mi dispiace dirlo, senza successo. Del resto, anche i medici non hanno la palla di cristallo, e se pure siamo riusciti a trovare con gli esami qualche anomalia nel suo cuore, non esiste una maniera di curarla né di prevenire gli svenimenti.
Quindi, gliene abbiamo parlato ed abbiamo concordato una serie di misure preventive e di controlli da effettuare in futuro, in modo da prevenire (o comunque diminuire) i suoi disturbi.
Solo che lei non l'accetta. Voglio dire, si fida di ciò che le abbiamo detto e dei risultati degli esami, ma non riesce ad assimilare il concetto che non ci sia una vera e propria causa per i suoi disturbi. Ed, essendo l'Enigmista, ti mette subdolamente in croce per questo.
"Dottoressa!"
Sigh... "Mi dica, cara."
"Senta un po', cos'ha detto il cardiologo?"
Aridaje. "Ha detto che il suo cuore va un pochino lento, e che è per questo che ogni tanto le gira la testa."
"Ah. Quindi adesso mi date qualcosa per farlo andare più veloce?"
"Non posso, cara, sennò poi gli occhi le schizzano fuori dalla testa."
"Come?"
"Niente. Volevo dire, la sua pressione è troppo alta per darle qualcosa per il cuore. Se lo deve tenere così."
"Ah. Senta, ma è possibile che sia l'intestino a darmi tutti questi disturbi?"
In questo momento, qualcosa si rompe dentro di te. Perché sta per iniziare la solita solfa, e tu lo sai. Hai già sentito e risentito questa storia un miliardo di volte, ma sai che non hai scampo. Quindi ti fai forza e ti attacchi allo stipite della porta, in attesa che passi la piena.
"Perché io ho l'intestino pigro, sa? Ho le feci dure. E quando devo andare in bagno con l'intestino, spingo, spingo, spingo, e poi mi gira la testa. Problemi di didistione, lo sa? [Dice proprio così, "didistione", lo giuro sulla laurea che ancora non ho.] Perché non faccio abbastanza succhi gastrici. L'altra sera avevo nausea, quindi mi sono fatta dare una camomilla e del bicarbonato, e poi ho fatto i succhi gastrici e la nausea mi è passata. Dice che è per questo che mi vengono i capogiri, dottoressa? Perché do tutte quelle spinte?"
"No, signora, non credo. Mi ha detto che le è successo anche per strada, quando non era in bagno."
"Ah, sì, quella volta che ero con la mia amica davanti al suo negozio. Stavamo andando per vetrine, sa. A un certo punto mi si è annebbiata la vista e mi sono sentita tutta formicolare, e se non mi prende la mia amica vado per terra."
"Sì, signora, lo so, signora. Me l'ha raccontato anche ieri."
"E allora dice che non è l'intestino che mi causa questi disturbi?"
"No, signora, credo di no."
"Ah." Attimo di pausa, forse sono salva, cominci a inalberare il sorriso dell'arrivederci... "Senta, l'esame delle urine cos'ha detto?"
Vogliomorire. "Niente, signora, non c'era nulla."
"Ah. Perché mi dava fastidio quando urinavo, capisce, quindi ho fatto la pipì in un barattolo e l'hanno portato a esaminare."
"Sì, signora, l'hanno esaminato ma hanno detto che non c'era niente."
"Ah. Ma se ci fosse stato qualcosa, poteva essere quello a causarmi questi disturbi?"
Occhiatina in fondo al corridoio: la signora a cui dovevi andare a prendere la pressione sta diventando blu. "Non credo, signora. Adesso devo andare, signora, ripasso più tardi." Tra una settimana, magari.
"Va bene. E il primario cosa dice, che mi manda a casa?"
"Sì, signora, la mandiamo a casa dopodomani."
"E se mi tornano gli svenimenti?"
"Ci chiami e ci pensiamo noi. Devo andare, signora."
"Va bene. Ma per l'intestino...?"
Sfrecci via come una saetta, a costo di sembrare maleducata, mentre accanto a te ci sono altri venti pazienti che reclamano le tue attenzioni.
Per oggi te la sei cavata a buon mercato, ma sai benissimo che l'Enigmista non demorde. Potrà andarti bene una volta o due volte o anche dieci volte, ma sai bene che lei è lì che aspetta.
Te.
Tutti ne sono a conoscenza, ma nella foga del lavoro quotidiano uno tende a dimenticarselo. Sei lì che schizzi da una parte all'altra della corsia perché è arrivato il nuovo paziente, e la signora laggiù deve andare a fare i raggi, e vai a dire all'infermiera di dare una pastiglia a questo qui perché sennò gli scoppia un'arteria, e scansati che arriva il carrello dei pasti. E fin qui tutto bene.
Poi, una volta succede che ti stai facendo gli affari tuoi, magari stai andando a prendere la pressione alla signora del letto in fondo che c'ha una faccia che non mi piace. E sei lì, col tuo sfigmo in una mano e lo stetoscopio attorno al collo, che percorri la corsia pensando al fatto che quando tornerai il professore ti farà una domanda trabocchetto su uno dei pazienti che hai appena visitato, e quindi cerchi di fare mente locale per sviscerare qualunque possibile domanda bastarda che gli potrebbe venire in mente.
Quando ad un tratto...
"Dottoressa!"
Ahia. Ecco, me n'ero dimenticata. Perché c'è sempre lei, seconda stanza a destra, che ti tende gli agguati quando meno te lo aspetti. Lei, l'Enigmista.
L'Enigmista è una donna subdola. Ha un aspetto giovanile e l'occhio acuto, il che potrebbe portarti a pensare che sia una donna ragionevole, con la quale si può discutere in serenità delle sue condizioni di salute.
Niente di più sbagliato.
L'Enigmista è arrivata un paio di settimane fa, dopo essere svenuta in bagno mentre faceva i suoi affari. Grazie al cielo, prima di essere trasportata di corsa al pronto soccorso è riuscita ad acchiappare la cartellina con tutti i suoi vecchi esami e ricoveri, così siamo riusciti a farci un'idea della sua storia (avremmo potuto chiederla a lei, mi dite? Poveri illusi). In pratica, 'sta donna entra ed esce dagli ospedali da un sacco di tempo per problemini di poca importanza, compresa questa storia degli svenimenti. Nei precedenti ricoveri l'hanno rivoltata come un calzino per riuscire a capire cosa li causasse, e anche noi in questo paio di settimane ci siamo spremuti le meningi per trovare la causa, ma purtroppo, mi dispiace dirlo, senza successo. Del resto, anche i medici non hanno la palla di cristallo, e se pure siamo riusciti a trovare con gli esami qualche anomalia nel suo cuore, non esiste una maniera di curarla né di prevenire gli svenimenti.
Quindi, gliene abbiamo parlato ed abbiamo concordato una serie di misure preventive e di controlli da effettuare in futuro, in modo da prevenire (o comunque diminuire) i suoi disturbi.
Solo che lei non l'accetta. Voglio dire, si fida di ciò che le abbiamo detto e dei risultati degli esami, ma non riesce ad assimilare il concetto che non ci sia una vera e propria causa per i suoi disturbi. Ed, essendo l'Enigmista, ti mette subdolamente in croce per questo.
"Dottoressa!"
Sigh... "Mi dica, cara."
"Senta un po', cos'ha detto il cardiologo?"
Aridaje. "Ha detto che il suo cuore va un pochino lento, e che è per questo che ogni tanto le gira la testa."
"Ah. Quindi adesso mi date qualcosa per farlo andare più veloce?"
"Non posso, cara, sennò poi gli occhi le schizzano fuori dalla testa."
"Come?"
"Niente. Volevo dire, la sua pressione è troppo alta per darle qualcosa per il cuore. Se lo deve tenere così."
"Ah. Senta, ma è possibile che sia l'intestino a darmi tutti questi disturbi?"
In questo momento, qualcosa si rompe dentro di te. Perché sta per iniziare la solita solfa, e tu lo sai. Hai già sentito e risentito questa storia un miliardo di volte, ma sai che non hai scampo. Quindi ti fai forza e ti attacchi allo stipite della porta, in attesa che passi la piena.
"Perché io ho l'intestino pigro, sa? Ho le feci dure. E quando devo andare in bagno con l'intestino, spingo, spingo, spingo, e poi mi gira la testa. Problemi di didistione, lo sa? [Dice proprio così, "didistione", lo giuro sulla laurea che ancora non ho.] Perché non faccio abbastanza succhi gastrici. L'altra sera avevo nausea, quindi mi sono fatta dare una camomilla e del bicarbonato, e poi ho fatto i succhi gastrici e la nausea mi è passata. Dice che è per questo che mi vengono i capogiri, dottoressa? Perché do tutte quelle spinte?"
"No, signora, non credo. Mi ha detto che le è successo anche per strada, quando non era in bagno."
"Ah, sì, quella volta che ero con la mia amica davanti al suo negozio. Stavamo andando per vetrine, sa. A un certo punto mi si è annebbiata la vista e mi sono sentita tutta formicolare, e se non mi prende la mia amica vado per terra."
"Sì, signora, lo so, signora. Me l'ha raccontato anche ieri."
"E allora dice che non è l'intestino che mi causa questi disturbi?"
"No, signora, credo di no."
"Ah." Attimo di pausa, forse sono salva, cominci a inalberare il sorriso dell'arrivederci... "Senta, l'esame delle urine cos'ha detto?"
Vogliomorire. "Niente, signora, non c'era nulla."
"Ah. Perché mi dava fastidio quando urinavo, capisce, quindi ho fatto la pipì in un barattolo e l'hanno portato a esaminare."
"Sì, signora, l'hanno esaminato ma hanno detto che non c'era niente."
"Ah. Ma se ci fosse stato qualcosa, poteva essere quello a causarmi questi disturbi?"
Occhiatina in fondo al corridoio: la signora a cui dovevi andare a prendere la pressione sta diventando blu. "Non credo, signora. Adesso devo andare, signora, ripasso più tardi." Tra una settimana, magari.
"Va bene. E il primario cosa dice, che mi manda a casa?"
"Sì, signora, la mandiamo a casa dopodomani."
"E se mi tornano gli svenimenti?"
"Ci chiami e ci pensiamo noi. Devo andare, signora."
"Va bene. Ma per l'intestino...?"
Sfrecci via come una saetta, a costo di sembrare maleducata, mentre accanto a te ci sono altri venti pazienti che reclamano le tue attenzioni.
Per oggi te la sei cavata a buon mercato, ma sai benissimo che l'Enigmista non demorde. Potrà andarti bene una volta o due volte o anche dieci volte, ma sai bene che lei è lì che aspetta.
Te.
martedì 24 aprile 2012
Mi presento
Ciao a tutti!
Bene, come inizio non c'è male.
Allora, dicevamo, mi presento. Sono un medico. Beh, ora non esageriamo... Sono una studentessa di medicina, ecco. Sono quasi alla fine di questo travaglio durato sei anni (un po' di più per me, a dire il vero, ma solo perché mi piace fare le cose con calma), quindi mi scuserete se ogni tanto me la tiro e mi do del medico. Sarebbe illegale, abuso di professione o qualcosa del genere, ma siamo tra noi e so che non mi denuncerete.
Dunque, per ragioni di studio-barra-lavoro mi sto trovando a girare molto per l'ospedale, e siccome viviamo in Italia la maggior parte dei miei pazienti (ecco, vi avevo avvertito, che ci devo fare) è composta da vecchietti.
Mi piacciono i vecchietti. Sono come i bambini, in un certo senso: fanno i capricci, non sanno parlare bene, non riescono ad andare in bagno né a mangiare da soli. Con la differenza che, se sono ancora abbastanza in sensi, nel momento in cui vedono una ragazza giovane vengono colpiti dal "complesso della nonna", come mi piace chiamarlo, e ti riempiono di sorrisi e caramelle. Mentre dai bambini puoi ricavare solo baci appiccicosi... che, diciamocelo, fan tanta tenerezza, ma non valgono una caramella! (Ovviamente non è sempre così, esistono nonni rissaioli così come esistono bimbi adorabili, ma la media è questa.)
Quindi, ecco il titolo di questo blog, Il vecchio e il bambino. La bambina sono io, anche se le gonnelline e i cerchietti li ho smessi da un po', ma per i miei vecchietti qualunque età sotto i 50 anni si fonde in un unico meraviglioso limbo dell'infanzia. Questo blog parla di loro, di quando sono bravi e di quando mi fanno ammattire, insomma di quel poco delle loro storie che mi è dato di conoscere dall'altro capo dello stetoscopio.
Un'ultima cosa, prima di cominciare. Siccome il reparto è composto da tante persone, e a descriverle una per una mi sa che ci incasiniamo, chiamerò di volta in volta i miei vecchietti con dei soprannomi, giusto per farvi capire di chi sto parlando. Resta inteso che si tratta di nomignoli affettuosi, e che non sottintendono nessuna mancanza di rispetto. Sono sicura che, se fossero in grado di capirlo (e alcuni dei più svegli lo sono), ne riderebbero anche loro, perché ho cercato di condensare in una sola parola tutte le loro caratteristiche salienti. Fate come loro, e fatevici una risata senza malizia.
Ci leggiamo presto!
Vostra,
Bolla Pestifera
Bene, come inizio non c'è male.
Allora, dicevamo, mi presento. Sono un medico. Beh, ora non esageriamo... Sono una studentessa di medicina, ecco. Sono quasi alla fine di questo travaglio durato sei anni (un po' di più per me, a dire il vero, ma solo perché mi piace fare le cose con calma), quindi mi scuserete se ogni tanto me la tiro e mi do del medico. Sarebbe illegale, abuso di professione o qualcosa del genere, ma siamo tra noi e so che non mi denuncerete.
Dunque, per ragioni di studio-barra-lavoro mi sto trovando a girare molto per l'ospedale, e siccome viviamo in Italia la maggior parte dei miei pazienti (ecco, vi avevo avvertito, che ci devo fare) è composta da vecchietti.
Mi piacciono i vecchietti. Sono come i bambini, in un certo senso: fanno i capricci, non sanno parlare bene, non riescono ad andare in bagno né a mangiare da soli. Con la differenza che, se sono ancora abbastanza in sensi, nel momento in cui vedono una ragazza giovane vengono colpiti dal "complesso della nonna", come mi piace chiamarlo, e ti riempiono di sorrisi e caramelle. Mentre dai bambini puoi ricavare solo baci appiccicosi... che, diciamocelo, fan tanta tenerezza, ma non valgono una caramella! (Ovviamente non è sempre così, esistono nonni rissaioli così come esistono bimbi adorabili, ma la media è questa.)
Quindi, ecco il titolo di questo blog, Il vecchio e il bambino. La bambina sono io, anche se le gonnelline e i cerchietti li ho smessi da un po', ma per i miei vecchietti qualunque età sotto i 50 anni si fonde in un unico meraviglioso limbo dell'infanzia. Questo blog parla di loro, di quando sono bravi e di quando mi fanno ammattire, insomma di quel poco delle loro storie che mi è dato di conoscere dall'altro capo dello stetoscopio.
Un'ultima cosa, prima di cominciare. Siccome il reparto è composto da tante persone, e a descriverle una per una mi sa che ci incasiniamo, chiamerò di volta in volta i miei vecchietti con dei soprannomi, giusto per farvi capire di chi sto parlando. Resta inteso che si tratta di nomignoli affettuosi, e che non sottintendono nessuna mancanza di rispetto. Sono sicura che, se fossero in grado di capirlo (e alcuni dei più svegli lo sono), ne riderebbero anche loro, perché ho cercato di condensare in una sola parola tutte le loro caratteristiche salienti. Fate come loro, e fatevici una risata senza malizia.
Ci leggiamo presto!
Vostra,
Bolla Pestifera
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