Mi piace da morire, prima da paziente e poi da medico, il fatto che qualunque squattrinato possa entrare in un ospedale e farsi curare completamente a gratis, e mi terrorizzano tutti quei luoghi dove questo non è possibile (e qui non è necessario specificare, perché sappiamo tutti di cosa sto parlando).
Da paziente, mi piace l'idea che un domani potrei finire sotto un tram e tranciarmi di netto le braccia, quindi non essere mai più in grado di svolgere alcun tipo di lavoro, e tuttavia essere curata grazie alle tasse dei miei concittadini. È una cosa a cui nessuno pensa mai, ma purtroppo una disgrazia può capitare anche al più ricco e famoso di noi, ed è bello pensare che se accadesse lo stato non mi lascerebbe morire al bordo di una strada. Toglie un po' di ansia, ecco.
Da medico, mi piace ancora di più il pensiero di non dovermi fare nessun tipo di problema sulla nazionalità, sulla posizione giuridica o sul ceto sociale dei miei pazienti, ma di potermi concentrare esclusivamente sulla loro salute. In tutta sincerità, nonostante i medici delle cliniche private guadagnino a volte delle cifre astronomiche, non vorrei esercitare in una condizione diversa da questa.
Perciò, è paradossale incontrare qualcuno che ti pone davanti delle condizioni economiche, in un contesto nel quale non c'è mai alcuno scambio di soldi tra noi e il "cliente" (se mi passate il termine). Sto parlando, naturalmente, di Zio Paperone.
Zio Paperone non è famoso per la sua prodigalità. |
Zio Paperone, devo confessarlo, in questa storia è una donna, ma non sono riuscita a trovare un paragone più calzante e quindi mi sono presa questa piccola licenza poetica. Spero che mi perdonerete, e, soprattutto, che mi perdoni il vecchio Walt Disney.
Una cosa buona si può dire di Zio Paperone: non dimostra assolutamente gli anni che ha. Ed è anche l'unica cosa buona che si può dire di lei, ahimé. Perché la buona donna mescola la diffidenza che avevamo già incontrato nel Professore con un goccio di paranoia tutta sua, abbinata ad un interesse per i soldi che, come vedremo, è quasi maniacale.
Per esempio, esattamente come nel caso del Professore, somministrarle il test standard per la valutazione del suo stato mentale è stato un vero e proprio parto.
A questo proposito, per darvi un'idea, ho trovato su internet un modello del questionario che viene utilizzato in tutto il mondo per farsi un'idea (molto approssimativa, ovviamente) delle condizioni mentali dei pazienti geriatrici. Il test si chiama MMSE (Mini-Mental State Evaluation) e potete trovarlo a questo indirizzo. Potete anche divertirvi a somministrarlo ai vostri parenti o a farvelo tra di voi, se non avete paura del risultato: come vi ho già detto, è estremamente semplificato ed approssimativo, quindi non è il caso di spaventarsi se il punteggio finale non è eccelso.
Come potete vedere, le domande del test sono molto elementari: in che anno siamo, in che città siamo, ripeta dopo di me "tigre contro tigre"... eppure, come potrete immaginare, molti pazienti con vari gradi di demenza hanno difficoltà ad eseguirlo correttamente. Il test serve proprio a darci un'idea di quanto è compromessa la capacità di ragionamento del paziente.
Zio Paperone, bisogna dirlo, ha ottenuto un risultato eccellente, sicuramente sopra la media del reparto. Il problema è che l'eccessiva semplicità delle domande, pare assurdo ma è così, l'ha offesa a morte.
Ora, immaginatevi la scena. Il test, come avrete visto, comprende una ventina di domande; di solito, per farlo tutto, occorre non più di un quarto d'ora. Con lei, nonostante il suo ottimo risultato, ci avremo messo almeno il doppio del tempo. Perché dopo ogni singola domanda, nessuna esclusa, partiva sempre la stessa filippica.
"Ma mi prendete per scema? Ma credete che sia stupida? Perché mi fate queste domande? Mi volete ricoverare tra i matti? Non sono mica tonta! Ma cosa sono queste domande? Mi volete rinchiudere?"
...questo per venti domande. Per mezz'ora. Io mi stampavo in faccia un sorriso che avrebbe fatto impallidire le iene del Re Leone, e le ripetevo pazientemente che era normale per noi somministrare quel test a tutti i pazienti, e che nessuno era mai finito in manicomio per aver risposto male alle domande. Alla quinta interruzione avrei voluto spolparla come un porcellino, per dire quanto ero calata nella parte.
Ma il suo tallone d'Achille era un po' più in basso: per la precisione, dalle parti del portafogli.
Devo dire la verità: qualche indizio ce l'aveva già dato. Invece di sparpagliare le sue cose per tutta la stanza, come normalmente si fa nei soggiorni lunghi in albergo e in ospedale, teneva sempre tutto nella sua grossa borsa nera di pelle, sempre appesa alla sponda del letto, e a cui si abbarbicava non appena qualcuno entrava nella stanza.
Potevamo già capire che c'era qualcosa che non andava, insomma.
Devo anche ammettere, senza voler peccare di superbia, che è un po' insultante entrare nella camera di un paziente durante il giro visite e vedere subito la sua mano correre alla borsetta. Sono una morta di fame, è vero, ma non sono ancora arrivata al punto di rubare dalla borsetta della nonna. Al massimo accetto caramelle e biscotti, grazie, al vostro buon cuore.
Tutto, in Zio Paperone, riconduceva ai soldi. Ma proprio tutto.
Comica è stata la scena di quando il suo cellulare ha esaurito la batteria. L'abbiamo trovata in grande agitazione, perché il telefono "non andava più". Dopo ripetute promesse di ridarglielo, e sotto il suo occhio vigile, sono riuscita a dargli un'occhiata e le ho spiegato cosa c'era che non andava. Grande panico.
"Ma allora" mi ha guardato sospettosa "devo dare i soldi a qualcuno che mi faccia la carica?"
"No, signora, il credito è a posto, è la batteria che si è scaricata. Deve mandare la sua badante a casa a prenderle il caricabatterie."
"Ma la mia badante non entra in casa da sola!"
"Vabbè, non può darle... le chiavi... e..."
Stava ricominciando con l'espressione da mi-stai-prendendo-per-il-culo. Tu vorresti che io mandassi la badante a casa da sola? Con le mie chiavi?
In effetti, a posteriori, mi rendo conto di aver detto un'idiozia.
Nonostante ciò che vi ho detto finora, però, non era per niente scema. Il dubbio che qualcosa non andasse nella situazione deve esserle venuto più volte, perciò mi ha chiamato nella sua stanza e, dubbiosa, mi ha mormorato qualcosa all'orecchio.
"Senta, ma chi paga per il mio ricovero? Devo pagarvi io?"
Le ho sorriso. "Qui è tutto gratis, signora. Nessuno deve pagare niente."
Di nuovo la sua espressione brevettata. "E a voi chi vi paga?"
"Lo Stato, signora. Attraverso le tasse."
Ha sorriso con aria saputa. "E allora vede che prende i soldi anche da me?"
Avrei voluto dirle che io non prendo una lira per stare lì, che faccio tutto su base assolutamente volontaria. Ma me n'è mancato il cuore.